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Analisi Guerra di Piero
(ppt a cura di Serena Pichenstein)
ZIRICHILTAGGIA
Smisurata preghiera - Fabrizio De Andrè
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione, chi tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità
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La Guerra di Piero (1969)
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi

Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve

Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera

E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore

E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbraccia l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato

Cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
La smisurata preghiera di De André: alle minoranze di ieri, oggi e domani
Era l'anno 1996, Fabrizio De André spiega in un concerto il senso del brano Smisurata preghiera: elogio delle minoranze con parole che 20 anni dopo sono ancora attuali. Correva l'anno 1996: 20 anni fa il grandissimo Fabrizio De André pubblicò l'album "Anime Salve", scritto a quattro mani con l'amico e collega Ivano Fossati.
Original link
Smisurata preghiera
Alta sui naufragi 
dai belvedere delle torri 
china e distante sugli elementi del disastro 
dalle cose che accadono al disopra delle parole 
celebrative del nulla 
lungo un facile vento 
di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico 
di armi in uso e in disuso 
a guidare la colonna 
di dolore e di fumo 
che lascia le infinite battaglie al calar della sera 
la maggioranza sta la maggioranza sta 
recitando un rosario 
di ambizioni meschine 
di millenarie paure 
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla 
l'orribile varietà 
delle proprie superbie 
la maggioranza sta 
come una malattia 
come una sfortuna 
come un'anestesia 
come un'abitudine 
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione 
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi 
per consegnare alla morte una goccia di splendore 
di umanità di verità
per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio 
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli 
con improbabili nomi di cantanti di tango 
in un vasto programma di eternità
ricorda Signore questi servi disobbedienti 
alle leggi del branco 
non dimenticare il loro volto 
che dopo tanto sbandare 
è appena giusto che la fortuna li aiuti 
come una svista 
come un'anomalia 
come una distrazione 
come un dovere
Compositori: Alvaro Mutis / Fabrizio De Andre' / Ivano Fossati
Coveri: il genovese di De André

di Valeria Merola 


A quasi vent’anni dall’uscita nel 1984, l’album Creuza de mä continua ad essere di grandissima attualità, anche dal punto di vista dello sperimentalismo linguistico. L’approdo al genovese rappresenta infatti un momento cruciale della produzione di De André, che scopre ed esplora il dialetto per recuperare in esso la storia della sua città e della sua gente. Come dichiara in una nota intervista di Cesare Romana, De André arriva al genovese attraverso una lunga ricerca dentro se stesso, volta soprattutto ad appagare quella che definisce una “voglia primordiale”: il desiderio di ricongiungersi con le proprie radici. Creuza de mästabilisce poi un cambiamento significativo nella cultura musicale italiana, dando vita a una tendenza neodialettale, che, nei suoi risvolti sia cantautoriali e lirici, che contestatori e alternativi, continua ad essere molto attuale. Il linguista Lorenzo Coveri, docente dell’Università di Genova, che ha studiato il linguaggio delle canzoni e il rapporto tra parole e musica, sostiene che le canzoni dialettali di De André siano il prodotto di un’operazione intellettuale, da interpretare soprattutto in un’ottica socio-linguistica. “Chi, conoscendo il genovese, ascoltasse Creuza de mä, avrebbe l’impressione di una pronuncia da alloglotto, avvertirebbe immediatamente l’estraneità dalla comunità linguistica – afferma Coveri -. Non è in effetti pensabile che De André parlasse il dialetto, vista soprattutto la sua estrazione sociale alto-borghese, che poco si conciliava con la volgarità della lingua popolare”. Per quanto non dialettofono, De André decide di recuperare questa dimensione attraverso una ricerca linguistica, che compie da intellettuale, leggendo libri e ascoltando i racconti della gente. “Si tratta – continua Coveri - di un progetto costruito a tavolino, tra le pagine dei vocabolari ottocenteschi da cui Fabrizio rispolvera una lingua poco parlata, ma che si compiace di esibire, nella sua musicalità. Il genovese si presta infatti a soddisfare agilmente le esigenze metriche del linguaggio musicale, senza dover costringere la sintassi a tortuosi capovolgimenti. A differenza dell’italiano, che funziona solo dal punto di vista melodico, il dialetto consente la coincidenza tra la frase musicale e la cesura metrica, così rivelandosi estremamente flessibile. De André scopre le possibilità espressive fonetiche e metriche del genovese e ne sfrutta l’agilità delle parole tronche e l’esotismo dei suoni”. Nell’intervista rilasciata a Romana, De André dichiara che il dialetto gli consente di tornare all’antico, ma anche di esprimersi in modo popolare, con un idioma che ha il dono di avvicinare le classi sociali. L’uso del genovese gli offre la possibilità di entrare in una dimensione da cui l’italiano, lingua aulica e con una tradizione troppo letteraria, è bandito. Eppure, sostiene Coveri, “il genovese di De André è lontano dal purismo dialettale e dalle canzoni popolari in dialetto. De André non è un cantante dialettale e il suo genovese ha un effetto stridente, perché tradisce l’operazione intellettuale che lo ha generato, innescando nell’ascoltatore un senso di lontananza e di straniamento. La Genova cui allude la ricerca linguistica di De André, è una città inesistente, con una realtà filtrata attraverso la storia, ma non attuale. È la Genova portuale, la Genova delle colonie, del Mar Nero, del Mediterraneo: la sorella dell’Islam di cui parlava Fabrizio. L’uso del genovese ha quindi un valore soprattutto evocativo, di sonorità orientali e di una Genova più sognata che vera”. De André si diceva affascinato dalla ricchezza linguistica del genovese, che, nella sua mescolanza di termini turchi e arabi, conserva la memoria dei traffici mercantili e della vocazione mediterranea della città. Di qui l’esigenza di un album mediterraneo, che raccogliesse questa coscienza linguistica, esibendola e sfruttandone la suggestione. “Album come Creuza de mä e Anime salve rispondono ad un progetto Mediterraneo, che Fabrizio De André e Mauro Pagani elaborano in occasione di un viaggio in Turchia, nel 1983 – spiega Coveri -. L’uso del dialetto è però soltanto uno strumento per la ricostruzione di un’atmosfera che non è genovese, ma orientale. L’elemento fondamentale è il sound, che rimanda a Istanbul, al Libano, ad Atene, ma non a Genova”. A quest’effetto contribuisce del resto anche la scelta di inserire strumenti della tradizione islamica, greca, occitanica, che avvicina la musica all’oriente, ben distinguendola, invece, dalla dimensione folcloristica e vernacolare. “L’esperienza dialettale di De André non nasce da un’urgenza comunicativa – sottolinea Lorenzo Coveri - , ma da un felice esperimento culturale, che poco si concilia con una canzone popolare, che riflette le realtà contadine dell’entroterra ligure, come quella di Marco Cambri, giovane cantante genovese, che con il suo A curpi de pria rappresenta il modello opposto a quello di De André. La ricerca di De André era ad amplissimo spettro, come dimostra anche il plurilinguismo di Le Nuvole. In quest’occasione Fabrizio spazia dal napoletano al sardo, al tedesco e ancora al genovese, con agilità e curiosità intellettuale, mescolando stili e registri. Eppure riuscendo a ricreare sempre lo stesso effetto, di omaggio alle diverse lingue e culture”.

http://www.letteratura.rai.it/articoli-programma-puntate/coveri-il-genovese-di-de-andr%C3%A9/1422/default.aspx

 Fabrizio De Andrè:, parlando dell'album Anime salve

Cosa ha fatto più presa sul pubblico?

Probabilmente una larga parte di popolazione incomincia a sentirsi minoranza. Mi spiego meglio. La maggioranza ha un significato attualmente ( perché le parole sono anomali cambiano significato nel tempo) numerico, ma ha le sue radici in un termine latino che è major, che al plurale fa majores. I majores, nel mondo latino e per quel che mi risulta fino alla fine del medioevo, erano coloro che detenevano i privilegi ed esercitavano autorità e potere. Oggi questi majores sono diminuiti di numero, ma loro diminuzione è direttamente proporzionale all’aumento dei privilegi e all’aumento dell’autorità e del potere che sono pressoché illimitati nel momento in cui si sono impadroniti pure dei media, attraverso il mezzo della pubblicità che da da vivere ai media stessi. I minores, che saremmo poi noi, sei tu, io, la gente comune indipendentemente dal fatto che poi facciamo magari dei mestieri poco comuni, siamo preferibilmente chiamati in causa nel momento in cui dobbiamo conferire ai majores questa autorità, questo potere o questi privilegi. Da questo punto di vista, probabilmente larga parte della popolazione a cui piace la musica cantata credo si sia un po’ identificata con le minoranze emarginate che sono poi protagonisti di Anime Salve.

La canzone d'autore

Poesia e canzone
Recentemente con l'assegnazione del premio nobel a Bob Dylan, si è riaperto il dibattito sulla valenza letteraria della canzone, in particolar modo della cosiddetta "canzone d'autore", fatta di testi che affrontano argomenti importanti, spesso di denuncia sociale.
ci sono parecchi elementi in comune tra poesia e canzone, prima tra tutti il legame antichissimo tra poesia e musica: nell'antica Grecia le poesie erano accompagnate dal suono della lira, e anche Iliade e Odissea furono composte per essere cantate dagli Aedi; possiamo quindi dire che per certi aspetti Omero era un cantautore! Anche in  Francia nel Medioevo i trovatori cantavano le loro poesie e il nostro San Francesco compose il suo cantico con accompagnamento musicale che venne però perso.
Un altro punto in comune tra poesia e canzone sta nel fatto che usano artifici simili: rime, giochi di suono, inversioni delle parole, metafore, enjabement.
cosa c'è allora di diverso?
Attualmente il testo di una canzone è funzionale alla musica e normalmente o nasce a servizio della melodia, oppure nasce contemporaneamente alla melodia, ma non separatamente.
Le parole della canzone vengono adattate, seguendo gli accenti, la sillabazione alle varie note della melodia, le pause, la loro lunghezza.
la magia della canzone sta proprio nella perfetta amalgama tra testo e musica che negli esiti migliori si fondono creando qualcosa di unico.
Nel corso della storia della canzone, essa è diventato un mezzo con cui diffondere le proprie idee: negli anni'60 John Baez e Bob Dylan, due folk singer, hanno espresso il loro dissenso rispetto alla guerra del Vietnam e dato voce alla contestazione giovanile e al pacifismo.
In Italia nei primi anni '60 nasce l'esperienza dei cantautori, ovvero artisti che compongono sia il testo che la musica delle canzoni che cantano e incidono. 
Provengono essenzialmente da due città del nord Italia: Genova e Milano.
Della scuola genovese fanno parte: Bruno Lauzi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Umberto Bindi; una decina di anni dopo, Fabrizio de André. della scuola milanese invece ricordiamo Giorgio Gaber e Jannacci.
Questi cantautori hanno vite tormentate e incarnano un malessere e una profonda crisi esistenziale che è vissuta da molte persone. Oltre alla crisi esistenziale, i cantautori usano la canzone come mezzo di denuncia sociale e politica (Guccini canta di Auschwitz, Gaber dei mali della società, Jannacci dei poveri e degli emarginati).

Testo e musica per De André
Di de André è uscito un libro in cui vengono raccolti appunti vari, cartigli, riflessioni scritte su buste, foglietti, post.it. Alcune riflessioni sono più lunghe e articolate di altre; una in particolare ci aiuta a capire che cosa vuol dire per il cantautore genovese scrivere una canzone. (vedi testo in fotocopia)